FOTOTRAPPOLA: tutto ciò che non possiamo, non riusciamo, non vogliamo vedere.
sabato 27 agosto 2011
Capriolo al trotto
Più che un capriolo sembra un cavallo al trotto. La scena dura poco, ma nel proseguo del video si possono sentire versi di uccelli diversi. Indovinate quali.
Che spavento!
Il capriolo si è preso un bello spavento. Se alzate il volume sentirete il suo respiro.
martedì 23 agosto 2011
Incontri ravvicinati
Domenica 21 agosto. Ultimo giorno di ferie. Decido di portare l’Ale a vedere le marmotte. Voglio farle un regalo. Da Andalo (1040) siamo saliti al Doss Pelà (1782). Giriamo a destra e seguiamo il sentiero che conduce al Bait del Germano. L’indicazione dice circa un’ora e trenta di camminata. La strada è per lo più pianeggiante, con sali e scendi poco impegnativi. Sono contento per l’Ale perché la giornata è calda e il cielo limpido. Uno scoiattolo sfugge all’obiettivo della mia Nikon. Peccato. Poco dopo arriviamo alla malga Covelo (1781). Non siamo soli. Le marmotte sono davanti alle loro tane. Proviamo ad avvicinarci e una sentinella in piedi sulle zampe posteriori fischia per comunicare alle altre il pericolo. Ci nascondiamo dietro una roccia che sembra messa lì apposta ed aspettiamo. Riusciamo a vederle da vicino, a pochi metri. Una è proprio grossa. Un' altra è nascosta tra le ortiche.
Dopo aver pranzato mi sono messo all’ombra sotto il tetto della stalla. Succede l’incredibile. Sento un sibilo. Sembra un serpente. Mi volto e vedo qualcosa che si intrufola tra la fessura del muro. Dopo qualche secondo sbuca una testa. E’ un ermellino. Il tempo di scattare una foto e sparisce.
Forse siamo stati fortunati, ma quello che abbiamo visto lo abbiamo cercato o almeno ci abbiamo provato. Altra gente prima e dopo di noi non si è nemmeno accorta delle marmotte. Era troppo attenta a schivare gli escrementi delle vacche. Torno a casa, riguardo le foto e ripenso alle loro scarpe pulite e ai loro piccoli occhi vuoti.
domenica 21 agosto 2011
Andalo - Malga Spora – Passo della Gaiarda – Passo del Grostè – Rifugio Tuckett – Rifugio Brentei – Rifugio Pedrotti – Rifugio Selvata – Rifugio Croz dell’Altissimo – Andalo. Due giorni per realizzare un sogno.
Giovedì 18 agosto
Roberto è lì ad aspettarmi. Come al solito. I panini pure. Zaini in spalla. Partiamo. Da Andalo prendiamo il sentiero 301. Sarà per colpa del caldo o del peso del bagaglio, ma la fatica la sento subito. La salita verso malga Spora (1851) è lunga, stretta e dura, dura, dura, sin dall’inizio. Quasi tre ore di fatica, incontrando sì e no 3 persone. Capisco il perché.
Sentiamo i campanacci delle vacche al pascolo. Ormai ci siamo. In fondo alla vallata vediamo la Spora. Siamo arrivati. Lasciamo i vestiti ad asciugare al sole. Mi sdraio e scatto qualche foto. Roberto prende un caffè. Il tempo passa. Sono quasi le due del pomeriggio. Parlando con il personale della malga matura la pazza idea di arrivare al rifugio Tuckett. I sacchi a pelo ci sono, così come tutto il resto, ma sono dubbioso. Roberto mi convince. Mi dice che siamo lì per quello e ha ragione. Abbiamo 4 ore per salire.
E’ tardi, dobbiamo correre. Saliamo verso il passo della Gaiarda (2240) seguendo sempre il 301. Nel tratto iniziale la salita è impegnativa e il fatto che proceda su un ghiaione non aiuta. La concentrazione è massima. Ogni passo ben calibrato. Dopo un’ora e venti di fatica siamo in cima.
Il tempo per riposare non c’è. Dobbiamo arrivare al passo del Grostè (2442). L’indicazione parla di un’altra ora e mezza. Il paesaggio cambia. Per i miei gusti è più bello. Il colore dominante non è più il grigio. C’è più vita. Incontriamo una famiglia che in mattinata ha raggiunto il lago di Tovel. Non siamo più soli. Al passo del Grostè arriviamo alle 17, in tempo per vedere l’ultima corsa della cabinovia. Siamo in orario. Mi prendo un tè al rifugio e riparto con il mio compagno di viaggio in direzione del Tuckett (2272).
Ancora un’ora e trenta. Ormai è un’abitudine. La nebbia ci accoglie fin dai primi metri. Dobbiamo mantenere alta l’attenzione per seguire la giusta traccia. Nulla è scontato. Incontriamo un camoscio. Poi solo roccia.
Sono le 18 e 15, in lontananza vediamo una croce. E’ la cappella del rifugio. Siamo arrivati. Prenotiamo due letti e mangiamo quel poco che ci resta. La soddisfazione è tanta. In questi momenti vuoi solo dire alle persone care che è tutto ok. Non c’è scritto da nessuna parte, ma io l’ho fatto. Anche Roberto. Alle 20 e 30 sono già nel sacco a pelo. Roberto mi raggiunge poco più tardi. La nostra è la stanza numero 24. Siamo gli unici italiani. La stanchezza no, quella non ha lingua. Faccio fatica ad addormentarmi. Se il sonno non arriva subito, la notte è dura, interminabile. Mi riguardo le foto, mando un messaggio e mi lascio sovrastare dalla stanchezza.
Venerdì 19 agosto
La sveglia non serve, alle 6 siamo già in piedi. L’acqua gelida del ghiacciaio, una bella cioccolata e un panino con burro e marmellata danno la giusta carica per ripartire. Saldiamo il conto, carichiamo gli zaini e partiamo. Sono le 7 e 20. Siamo fortunati. Il tempo è stupendo. Ci lasciamo alle spalle il Tuckett. Dobbiamo raggiungere il rifugio Brentei (2175).
Il primo tratto di strada è come quello fatto per arrivare al Tuckett. Rocce, rocce, rocce. Il sentiero si stringe. Il panorama è spettacolare. Dopo un continuo sali e scendi avvistiamo il rifugio, anche questo situato in una posizione stupenda. 10 minuti di pausa e partenza verso il rifugio Pedrotti (2491).
Chiediamo informazioni sul nevaio che dobbiamo superare. Tutti ci rassicurano. Non serve attrezzatura particolare. Solo gambe e scarponi. Ci avviamo. Sono le 9 e 30. La strada non è impegnativa. In un attimo siamo sulla neve. Faccio fatica a stare in piedi. Proseguiamo lentamente. Finito il primo tratto dobbiamo superare delle rocce a strapiombo. Nessuno ce l’aveva detto. L’ottimismo è il pane quotidiano in montagna. Ci aggrappiamo al cordino d’acciaio e saliamo gli scalini conficcati nella roccia. Roberto è bianco in viso. Ci manca l’ultimo tratto di nevaio. Il più pendente. Roberto mi stacca, sembra uno scalatore nato. Arrivo anch’io. Vediamo il Pedrotti. In un attimo siamo lì.
Ci sono grembiuli stesi ad asciugare. Anche loro fanno il loro effetto. Incontriamo gente di Zambana e facciamo due chiacchiere. Sono le undici e mezza. Abbiamo deciso di pranzare al Selvata (1650).
La discesa, forse per colpa della fame è velocissima. In poco più di un'ora siamo giù. Ordino un piatto di pasta al pomodoro, Roberto affettati e formaggio. Non sono ancora le 14. C’è solo voglia di andare a casa, decidiamo di non fermarci più. Prima del rifugio Croz dell’Altissimo (1480) riempiamo le bottiglie d’acqua. Poi avanti fino a casa.
Questa storia l’ho raccontata per come l’ho vissuta io. Abbiamo voluto realizzare un sogno senza correre rischi. Questi due giorni mi hanno tolto tante energie fisiche, ma mi sono state restituite sotto tante altre forme. Non sono uno scalatore e avevo pregiudizi sulla montagna e su chi la frequenta. Adesso però che ho toccato con mano e visto, il mio pensiero è cambiato perché quello che prima non era mio, adesso lo è.
Sono due giorni che ci penso, un grazie a Roberto sarebbe scontato. Ne abbiamo parlato al Tucket. Mi ha fatto fare un giro tremendo. Ma solo grazie alla sua determinazione mi ha convinto a superare le mie incertezze. Grazie Roberto, una volta di più.
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